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Una rivoluzione azzurra nel futuro Agroalimentare, ai tempi di Expo 2015 - Una Tesi di Laurea affronterà la questione

Una rivoluzione azzurra nel futuro Agroalimentare, ai tempi di Expo 2015 – Una Tesi di Laurea affronterà la questione

Martedì 17 marzo, Aula Magna Porati-Granero, ore 9,30

Varese, 16 marzo 2015 – Era l’agosto 2003 quando “The Economist”, uno dei maggiori settimanali di economia al mondo, uscì con una propria copertina completamente occupata da salmoni allineati in una sterminata e marziale platea, annunciando un titolo quale “Blue Revolution”, intendendo la promessa dell’acquacoltura all’interno di un importante cambiamento nelle abitudini alimentari della popolazione mondiale che consapevole dei benefici alla salute che ne derivano, da alcuni decenni si rivolge sempre di più al consumo di pesce. A 12 anni di distanza, l’argomento è affrontato da Maria Luisa Semeraro, laureanda magistrale in Biologia, che si laureerà domani, martedì 17 marzo, nell’Aula Magna Granero-Porati dell’Università dell’Insubria in via Dunant 3, a Varese, alle ore 9,30, discutendo una curiosa tesi di laurea che approfondisce i problemi della rivoluzione agro-alimentare “azzurra”, con alla base una vera e propria biotecnologia marina.

azzurra

«È interessante osservare che siamo ad un secolo dalla rivoluzione verde iniziata con la tecnologia relativa alla produzione industriale dell’azoto ammoniacale per la fertilizzazione dei campi, sviluppata da Friz Haber e Carl Bosch, entrambi Nobel per la chimica rispettivamente nel 1918 e 1931» – sottolinea il professor Marco Saroglia, docente di Biotecnologie in acquacoltura e relatore della tesi.

«Dai prodotti ittici, con un consumo pro-capite medio di 19,2 kg all’anno (dati FAO 2014) grazie alla disponibilità di 140 milioni di tonnellate, possiamo calcolare come provenga attualmente oltre il 25% netto del fabbisogno mondiale di proteine e questa percentuale è prevista in forte crescita – continua Saroglia – . Ma i prodotti ittici rappresentano anche l’unica risorsa di acidi grassi polinsaturi omega-3 a lunga catena, noti tra gli specialisti come acido eicosapentaenoico e docosaesaenoico o più semplicemente EPA e DHA. Si tratta di acidi grassi essenziali che devono essere assunti con la dieta come le vitamine. Le organizzazioni sanitarie mondiali ne raccomandano un’assunzione pari ad almeno 500 mg al giorno, o 3,5 grammi per settimana, al fine di mantenere le arterie in buona salute. Non è però solo una questione di arterie, infatti uno studio epidemiologico condotto su base mondiale e pubblicato nel 2008 da J.R. Hibbeln del National Institute of Health di Bethesda (Mariland, USA), mostra una relazione inversa tra mortalità dovuta a qualsiasi causa e consumo di pesce, nei vari paesi. Così Islanda e Giappone, dove si assumono in media 90 e 70 kg di prodotti ittici per anno, il numero di decessi per qualsiasi causa è ridotto di almeno 500 unità per 100.000 abitanti rispetto a paesi dove il consumo di pesce è molto limitato o nullo».

All’orizzonte della rivoluzione azzurra si intravvede però qualche nuvola. «Infatti – spiega il professor Saroglia – già con l’attuale risorsa ittica, garantita al 50% dall’acquacoltura, esiste a livello mondiale un deficit di quasi un milione di tonnellate degli omega-3 EPA e DHA e tale deficit potrebbe ulteriormente ampliarsi nei prossimi anni, con la popolazione mondiale che passerà dagli attuali 7 ad almeno 9 miliardi di persone. Non ci vorrà molto. Lo sfruttamento eccessivo degli oceani operato nel corso dell’ultimo secolo, ha fatto si che i banchi di pesce si siano enormemente ridotti: dove all’inizio del ‘900 si stimavano punte di oltre 11 kg per kilometro quadrato di mare, ne stimiamo ora meno di 3 kg, ma soltanto nelle aree più pescose dell’oceano. E’ evidente che solo il continuo sviluppo dell’acquacoltura potrà consentire di far fronte ai nuovi fabbisogni, ma è pur necessario trovare un’adeguata, completa e sana fonte alimentare per i pesci allevati, la quale non potrà ovviamente essere rappresentata da ulteriori risorse della pesca. Il pesce allevato, controllato nell’alimentazione, è sicuro per quanto concerne residui tossici, come il mercurio, oppure parassiti quali l’anisakis, e grande attenzione è riposta dai ricercatori al fine di garantirne le qualità nutrizionali tipiche del pesce selvatico. Non mancano le risorse proteiche sostenibili utilizzabili nei mangimi, ma non si possono commettere errori quando è in gioco la qualità dei prodotti allevati a scopo alimentare. I regolamenti europei ed ancora di più le rigorosissime leggi italiane, impongono restrizioni a scopo precauzionale nell’impiego di sorgenti proteiche per i mangimi utilizzati nell’allevamento animale e quindi anche dei pesci. Peraltro in tutto il mondo sono in corso studi finalizzati alla ricerca di fonti alimentari alternative per l’acquacoltura».

Il Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della Vita (DBSV) dell’Università dell’Insubria partecipa a diversi studi con propri progetti di ricerca condotti in una collaborazione internazionale. L’obiettivo è riassumibile nella ricerca di “ricette” nutrizionali che consentano di sostituire nei mangimi le farine proteiche di pesce con farine di altra natura. L’Unità di Scienze e Tecnologie Animali del DBSV, coordinata dal professor Marco Saroglia, insieme alla professoressa Genciana Terova studia, all’interno di un progetto europeo denominato Advanced Research Initiatives for Nutrition & Aquaculture (acronimo ARRAINA), complesse formulazioni nutraceutiche che consentano al pesce di poter assumere proteine vegetali, mantenendo perfette condizioni di salute ed eccellenti livelli di qualità. Un altro progetto finanziato dalla Fondazione Cariplo è appena decollato e prevede l’impiego in acquacoltura di farine di insetti cresciuti su prodotti surplus dell’ortomercato. D’altra parte proprio gli insetti rappresentano un alimento naturale per molte specie ittiche nell’ambiente naturale. I risultati ottenuti fino ad ora dai ricercatori dell’Insubria sono stati pubblicati su alcune delle principali riviste scientifiche mondiali ed hanno attirato l’interesse di colleghi che dagli Stati Uniti come da paesi europei ed asiatici hanno svolto visite e stage per prendere parte alle ricerche Bosine. «Se da un lato queste ricerche ben s’inseriscono nello spirito di EXPO 2015, dobbiamo con rammarico sottolineare – aggiunge Saroglia – che nessuna delle amministrazioni pubbliche regionali o provinciali ha ritenuto fino ad ora di sostenerle, neppure quando queste potevano evidentemente offrire ricadute occupazionali e di mercato sul territorio. L’entusiasmo dei ricercatori, lungi dall’esserne compromesso è comunque appagato dai risultati che emergono a tutti i livelli, a cominciare dalle tesi di Laurea, di Dottorato di Ricerca, dal riconoscimento delle aziende di settore e del mondo scientifico internazionale».

Per informazioni: prof. Marco Saroglia, cell. 366 6736172 e mail: marco.saroglia@uninsubria

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