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Focus frumento e grandi colture: convergenza sull'interprofessione

Focus frumento e grandi colture: convergenza sull’interprofessione

Guidi: obiettivo, cabina di regia per costruire un modello di collaborazione tra le imprese

 

Interprofessione e contratti di filiera, maggiore sinergia e concertazione tra le parti economiche – industria in primis – per recuperare margini di competitività sul mercato dei cereali, sull’esempio ‘qualitativo’ della francese Agrimer. Ma anche miglioramento del sistema di stoccaggio e produzione di grano duro made in Italy di qualità. Questi gli assi portanti su cui puntare per rilanciare il comparto dei cereali secondo quanto emerso a Roma nel corso del focus “Frumento e grandi colture: per una strategia dell’interprofessione”, organizzato da Confagricoltura in collaborazione con L’Informatore Agrario. Al tavolo, oltre al presidente di Confagricoltura, Mario Guidi, alcuni tra i più importanti attori nazionali e internazionali del comparto, tra cui il presidente di Assalzoo, Alberto Allodi, il presidente AIDEPI, Paolo Barilla, e il presidente di Italmopa, Ivano Vacondio.

“Attraverso il nostro organismo interprofessionale – ha spiegato Jean-François Gleizes, presidente di Passion Céreales e membro del Consiglio specializzato Cereali di France AgriMer – abbiamo creato un rapporto quasi permanente tra gli attori, che permette di superare i momenti difficili. La produzione in Francia è pari a 1,5 mln di tonnellate di granelle, contiamo entro il 2020 raddoppiare la produzione grazie ad una filiera organizzata da monte a valle. La filiera in questo senso è una famiglia, il nocciolo duro degli scambi, dove mettiamo tutto sul tavolo: produttori, ricerca, selezione, trasformazione e cooperazione”.

Confagricoltura

Per il presidente di Assalzoo, Alberto Allodi: “E’ la prima volta che la filiera viene rappresentata nella sua interezza. Quando parliamo di organismo interprofessionale il paragone tra Francia e Italia risulta difficile da immaginare, anche perché la Francia è un Paese eccedentario in termini di produzione, mentre l’Italia è un Paese deficitario di oltre il 50%. Il modello andrebbe integrato secondo queste specificità, l’Italia dovrà trovare quindi degli equilibri che compensino al meglio la necessità di reperire sui mercati internazionali questo gap”.

“La Francia è un bel modello – ha detto Paolo Barilla, presidente AIDEPI – ma la natura dei due Paesi è così differente tanto da essere un’utopia copiare un modello così avanzato e maturo, dove non c’è opposizione ma collaborazione. Noi partiamo da quello che dobbiamo offrire al consumatore: la filiera quindi la ricostruiamo in senso opposto. Avere un sistema più semplificato, che lavora su poche cose molto rilevanti per poi rafforzare la posizione dei pastifici italiani verso l’export, è fondamentale per il nostro futuro. L’industria italiana sarà minacciata se non troverà una maggiore efficienza al suo interno. Come Barilla stiamo cercando di organizzare questo modello al nostro interno, perché abbiamo bisogno di avere quantità e qualità: una costanza qualitativa e un approvvigionamento sicuro. Noi non viviamo serenamente il periodo, siamo molto preoccupati e stiamo investendo molto per farci la nostra filiera. E’ evidente che se l’Italia facesse la sua filiera allora saremmo tutti molto più forti”.

Per il presidente di CerealDocks, Mauro Fanin: “Nel modello italiano spesso si parla di filiere dal campo alla tavola, ma in Italia spesso la filiera si ferma a metà strada. All’estero invece troviamo disponibilità a valorizzare questa filiera. L’unico modo per far crescere i prezzi è esportare i prodotti. Non possiamo competere da soli, né come stato, dobbiamo allargare i confini ma se già tra di noi non riusciamo a fare la cosiddetta ‘famiglia’ ovviamente ci troveremo a discutere per tanti mesi ed anni: pensiamo a quanto siamo andati avanti sulle classificazioni delle commodities per definire una linea e degli standard comuni. Per fare meglio e dare un servizio all’industria dobbiamo caratterizzare i nostri prodotti e dialogare molto di più. Un aspetto dell’esperienza francese che potrebbe essere portato nella nostra realtà è la comunicazione tra gli attori della filiera, che è ciò che manca da noi che ragioniamo a compartimenti stagni. Queste sono le prerogative con cui possiamo continuare a parlare di filiera”.

Per il presidente di Confagricoltura, Mario Guidi: “Come filiera dobbiamo cambiare approccio ai problemi e trovare tra di noi le risposte a programmazione e destinazione delle produzioni, valorizzazione del made in Italy e quindi un prezzo soddisfacente nei vari passaggi dal campo allo stoccaggio fino alla trasformazione. E questo prima ancora di chiedere il sostegno delle varie Istituzioni pubbliche. L’obiettivo che ci dobbiamo porre è quello di costruire una ‘cabina di gestione’, di ‘pilotaggio’ come l’hanno chiamata significativamente i francesi, dei rapporti di filiera di nuovo tipo, non diretti a tirare la coperta da una parte o dall’altra, ma finalizzati a costruire un modello di collaborazione tra imprese. Per parlare concretamente di mercato e definire il prezzo ma, soprattutto, per programmare il percorso di crescita del sistema, superando le vecchie logiche speculative. Per tutto ciò la sede ideale è l’interprofessione di prodotto: frumento o soia che sia”.

“Noi siamo assolutamente per l’interprofessione – ha sottolineato il presidente di Italmopa, Ivano Vacondio – ma bisognerà vederne i contenuti, soprattutto di chi partecipa. Difficilmente l’esempio francese può essere replicabile. Per il futuro, bisognerà che intorno all’interprofessione ci sia tutta la filiera e non possiamo dimenticare la GDO, altrimenti diventa difficile chiudere il cerchio. Domani se si vuole continuare a produrre grano duro o grano tenero è indispensabile partire a valle, a partire dal sistema dei centri di raccolta che è ormai medievale e superato. La filiera corta infine è un elemento indispensabile per ridurre i costi e avere qualche elemento di soddisfazione. Occorrerà infine – ha concluso Vacondio – mettere mano alla comunicazione e alla valorizzazione del prodotto nell’interesse della filiera, per far fronte a una demonizzazione del prodotto aberrante”.

Tra gli aspetti affrontati, anche quello della qualità. Per il presidente di Confagricoltura, Mario Guidi: “Come agricoltori, dobbiamo fare la nostra parte continuando a impegnarci per migliorare la qualità. Ma questa qualità deve poi essere riconosciuta, selezionata e premiata da stoccatori e trasformatori, evitando di fare di tutto il grano un mucchio e di vanificare così i nostri sforzi per produrre al meglio. E non dobbiamo scandalizzarci se il prodotto raccolto viene diversamente collocato sul mercato a seconda della sua qualità. Anche questo è un modo per valorizzare il made in Italy. Anche se l’obiettivo principale resta quello di aumentare globalmente la quantità di qualità”.

Roma, 30 settembre 2016

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